Praticamente in rovina nel XVI secolo, fu totalmente distrutto per riutilizzare il materiale nelle opere avanzate del castello, probabilmente in vista dell’assedio spagnolo del 1718, quando gran parte della Giudecca fu abbattuta per liberare il tiro alle batterie della fortezza poste sul lato occidentale.
Fu edito per la prima volta da Baldassare Romano, e Antonio Salinas vi svolse delle campagne di scavo tra il 1909 e il 1911 che hanno messo in luce tre settori: nel giardino dell’ex monastero di San Marco sul lato occidentale, all’interno del Convento di Santa Chiara sul lato orientale e nel piano Barlaci sul lato settentrionale.
Furono eseguite anche due trincee, una sul lato sud per individuare il secondo ingresso speculare a quello rinvenuto nel piano Barlaci, e un’altra in via Anfiteatro dove venne rinvenuto uno dei piloni.
L’anfiteatro prevedeva una lunghezza dell’asse maggiore pari a 100 piedi e un’ampiezza dell’anello di 75 piedi, misure che permisero la costruzione di un’ellissi esterna di 330 x 250 piedi e interna pari a 180 x 100 piedi. All’esterno dell’edificio si trovavano una serie di strutture rettangolari che seguivano l’ellissi. Se ne conserva uno all’interno dell’ex monastero di San Marco e un’altra era visibile in via dell’Anfiteatro fino al 1926. Quest’ultima struttura era collegata con un arco ai due piloni ancora esistenti nella via da un arco, che venne demolito il 22 dicembre 1876. Sebbene fosse considerato l’ultimo arco sopravvissuto dell’anfiteatro, la sua posizione e il suo orientamento ne restituiscono l’estraneità all’edificio, tanto che il Romano non lo citò, giudicandolo, evidentemente, estraneo al monumento. In effetti l’arco, sul lato rivolto verso l’anfiteatro, poggiava su due muretti che ne riducevano la luce tra i piloni, segno che furono eretti in un momento successivo alla costruzione dell’opera architettonica. La presenza di questa arcata, però, rende ancora più difficoltoso intendere la funzionalità delle strutture rettangolari.
Nel 1986 furono eseguiti otto saggi di scavo nel giardino dell’ex monastero, all’interno e all’esterno degli ambulacri, che non hanno fornito dati certi sulla cronologia, ma che hanno evidenziato interventi di contenimento del suolo dell’ambulacro esterno in età tardo-antica (seconda metà-fine V secolo d.C.), probabilmente per contenere il cedimento di alcune arcate, attestando la costruzione di contrafforti, gettate di ciottoli e altri materiali addossati a due piloni dell’ellisse esterna.
Tenendo conto della mancanza di reperti archeologici anteriori al periodo fine IV-metà V secolo d.C. , si può sostenere una continuità d’uso nei secoli II-IV.
Altri due piloni del circuito interno e il corrispondente muro di sostegno della cavea sono stati rinvenuti nel 1989 durante i lavori di ristrutturazione della casa in via Anfiteatro 1.
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