Malgrado oggi non sia rimasto quasi nulla dell’edificio antico, ne conosciamo la pianta e possiamo farcene un’idea grazie alle relazioni di scavo del 1817 prima, nell’area dei Bagni, e del 1891 poi, nell’area dell’attuale Grand Hotel.
Le terme romane erano costituite da due strutture, ognuna delle quali era collegata a una fonte termale. La prima era di forma circolare con un corridoio anulare che girava lungo il perimetro, ancora in parte conservato, anche se delle antiche strutture è visibile ben poco a causa dei tanti restauri e riadattamenti realizzati nel corso dei secoli. Del corridoio sopravviveva alla fine del XVI secolo la metà settentrionale, che fu aggregata nei nuovi bagni edificati tra il 1601 e il 1624, lavori terminati nel 1642.
La ricostruzione dei bagni, insomma, sembra avere rispettato le strutture romane, che almeno in parte furono riutilizzate. Attorno alla prima metà del XIX secolo, le mura della parte posteriore dell’emiciclo erano ancora riconoscibili, compreso un tratto dell’antica volta, e furono giudicate di età romana da Palmeri in accordo con il famoso viaggiatore francese Houël. Prima di allora, vi era stato un approssimato interesse per le terme; i bagni sono non di più che accennati dall’Arezzo, dall’Alberti e dall’Adria per la loro generica antichità, e anche Vincenzo Solito non scrive in sostanza nulla (1671), sebbene l’edificio, nel suo stato originario fosse visibile fino a pochi decenni prima.
Fu Houël che realizzò un primo esame dei resti e che ricostruì in pianta la forma dell’edificio. La ricostruzione ebbe poi conferma dagli scavi archeologici del 1817 diretti dal Gargotta con i quali si mise in luce l’intera circonferenza (diametro esterno m 31,5 circa; diametro interno m 20,5) e furono riconosciute le antiche strutture, speculari a quelle già inglobate nei bagni seicenteschi. In occasione di quegli scavi furono esaminati anche il canale di adduzione e di scarico dell’acqua, verificandone l’antichità. Non vi è dubbio che lungo tutto il perimetro avanzasse il corridoio anulare coperto con volta a botte; incerta rimane la funzione della parte centrale che Houël e Palmeri ritenevano in gran parte occupata da una vasca di acqua fredda.
Non lontano dall’edificio centrale, a fine ‘800, era visibile un altro edificio termale identificato con il “bagno delle donne” e citato in un documento del XV secolo. Grazie alla descrizione del Battaglia e alla pianta redatta da Mauceri, possiamo capire che questo edificio era alimentato da una seconda sorgente ed era costituito da una sala rettangolare (m 20 x 13,5), sulle cui pareti si aprivano piccole nicchie ogivali. Sul fondo si trovava una vasca a gradini che aveva funzione di lavatoio da cui partiva un canale di scolo a cielo aperto che attraversava tutta la lunghezza del vano.
Il “bagno delle donne” fu in parte demolito e in parte inglobato nella nuova struttura del Grand Hotel e i pochi elementi ancora oggi visibili, tra cui una parte delle pareti con le nicchie, avvalorano le ipotesi già del Palmeri: che si trattasse di un edificio arabo, o, come sostenne il Mauceri, arabo-normanno. E’ assodato, comunque, che già nel XII secolo vi erano i due edifici («Avvi anco una fortezza nuova e due bagni l’un presso all’altro, entrambi eccellenti, su i quali sorge un edifizio antico», da Edrisi nella traduzione di Amari), con le strutture romane ancora visibili o in uso.
Resti più antichi sotto il “bagno delle donne” si notavano ancora nel 1887 e anche il Mauceri ne fece attento esame. La presenza di un edificio termale precedente fu confermata da un saggio di scavo e in seguito quando furono scavate le fondamenta del nuovo hotel, realizzato su progetto di Damiani Almeyda, finché venne alla luce questa parte delle terme romane. Dal breve resoconto degli scavi fatto dal Patiri, si fa pervenire che i lavori furono eseguiti in fretta e che i resti di maggiori dimensioni furono lasciati sul luogo; viene descritto come un vasto edificio, con pavimenti musivi, piscine e muri incrostati di marmo, adorno di statue e che per la sua ricchezza decorativa parrebbe datarsi all’età imperiale. Di tutto, resta solo un ritratto femminile giulio-claudio conservato al Museo Civico di Termini Imerese.
Dalla pianta di Indovina si ritiene che la struttura circolare sia parte integrante del complesso, che quindi va considerato in maniera unitaria, anche se ciò non significa datare il tutto all’età imperiale. Considerate nell’insieme, le Terme mostrano i caratteri degli edifici che sfruttano le acque minerali e le cui articolazioni dipendono dalla presenza di sorgenti. In questo caso sono due, per cui due sono i calidaria. Il più importante è quello circolare, la cui posizione distinta dal resto del complesso trova riscontro nelle Terme di Aquae Flavianae, nell’odierna Algeria. La forma circolare è frequente in complessi del genere e si ritrovano in Campania (a Baia), in Francia (Evaux, Néris, Fontaines Salées) e in Africa (oltre Aquae Flavianae, anche a Jebel Oust, in Tunisia).
Il secondo calidarium non è di facile lettura, anche per la sovrapposizione del bagno medievale. Sembra che le acque arrivassero in una piscina semicircolare alla quale si poteva accedere tramite due vani prospicienti. Il resto degli ambienti non sono di facile definizione, dalle due ampie sale sulla fronte che potevano essere spogliatoi o contenere a loro volta delle vasche, al resto dell’interno dell’edificio con le sue molteplici piscine necessarie a miscelare le acque calde alle diverse temperature per diversificare i bagni, cosa che avveniva in tutti i complessi dello stesso tipo.
Non si ha alcun dato sulle coperture delle varie parti dell’intera struttura. Si può pensare a una serie di volte a botte in autocontrafforto sulla gran parte dei vani, considerando la documentata volta a botte dell’ambulacro anulare. Si può anche immaginare una copertura sulla parte centrale del calidario principale, contraffortata dalla botte anulare, anche se di diametro notevole.
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